M….come Mitomania

M….come Mitomania

Siamo arrivati alla lettera M, tra le mille parole che si utilizzano in psicologia e i diversi disturbi ho scelto MITOMANIA.

Secondo il Dizionario di Psicologia di Galimberti mitomania significa “mendacità patologica, indotta dal bisogno che un soggetto ha di valutarsi di fronte agli altri cercando con storie fittizie o fantasiose di crearsi una sua notorietà. Il mitomane talvolta è cosciente della natura fantastica del suo racconto, talvolta invece finisce con il crederci, tanto è viva la sua partecipazione affettiva. Fisiologica nel bambino che confonde la realtà con la fantasia. La mitomania diventa patologica negli adulti costretti a sostenere una realtà esterna o interna insopportabile con una fittizzia.”  (Galimberti, 2010)

Lo psichiatra e psicologo francese Ernest Dupré nel 1905 conia il termine “mitomania”, che usa come sinonimo di pseudologia fantastica, e descrive i tre criteri essenziali per definirla, che sono:

  1. la storia deve essere plausibile e mantenere una certa attinenza con la realtà;
  2. racconti immaginari devono manifestarsi in molteplici circostanze e in modo durevole;
  3. i temi di queste storie sono molteplici, ma l’eroe o la vittima sono quasi sempre il soggetto stesso.

Dupré, inoltre, distingue quattro tipi di mitomanie:

  1. vanitosa (persona che si vanta);
  2. errante (persona che non fa che scappare);
  3. maligna (compensazione di un complesso d’inferiorità attraverso le malignità);
  4. perversa (mentire per approfittarsi degli altri).

Il disturbo megalomanico o mitomanico segue delle fasi (nascita, sviluppo, acme e possibile crollo) che rivelano come esso funzioni secondo una logica più o meno sistematizzata.

Secondo gli studi svolti da Duprè e portati avanti dai suoi successori, la persona mitomane ha subito forti critiche fin da piccolo da parte delle figure di riferimento, si possono ipotizzare due modalità di critica:

  1. le critiche sono quelle che gli hanno indirizzato i suoi genitori, persone rigide e dalle richieste esagerate per un bambino, sia in senso morale che in senso sociale. Il futuro “malato” è stato perseguitato dall’obbligo di dare di sé prove eccezionali, fuori del comune, sicché nel terrore di deludere le aspettative altrui ha imparato a mentire: agli altri senza dubbio, ma spesso anche a se stesso.
  2. In un altro genere di casi, il soggetto ha subito la persecuzione diretta o indiretta del giudizio sociale, spesso a causa di una famiglia di appartenenza avvertita come carente o degradata e di cui provava una viva vergogna. Da qui l’esigenza di creare “favole” compensative e di raccontarle agli altri.

In realtà la persona mitomane vive nell’angoscioso bisogno di occultare un suo “lato oscuro” (una profonda insicurezza e una bassa autostima), questo lo costringe a vivere come un fuggitivo dei propri reali sentimenti; è sempre a caccia di esaltazioni ed impaurito dalla possibilità di riconoscersi carente rispetto al modello ideale e di avere un crollo depressivo. Per questi motivi si crea un “mito”, una favola nella quale è un individuo eccezionale. Il mito lo protegge (temporaneamente) dal crollo.

Il mitomane, infine, accumula segreti sensi di colpa nei confronti di coloro che inganna e nei confronti di se stesso. Il bisogno inconscio di essere punito per le sue colpe accentua la sua sfida nei confronti del mondo allo scopo di soccombere.

Il mitomane, non è cosciente della propria difficoltà e delle proprie “bugie” anche di fronte ad atti evidenti la responsabilità non è la sua, difficilmente decide di affrontare un percorso di terapia, questo dimostra ancora di più l’inconsapevolezza.

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